LA FORRA E IL SUO HABITAT NATURALE
di Veronica Guidone
L’attività svolta nel corso del tempo da tre importanti complessi vulcanici, Vulsino, Vicano e Cimino, ha determinato l’attuale struttura geologica della Provincia di Viterbo. In Particolare le colate laviche e i fenomeni esplosivi dei complessi Vicano, dominato dalla caldera del Lago di Vico, e Cimino, hanno dato luogo a plateau di origine vulcanica successivamente modificati dall’azione degli agenti esogeni.
I substrati di origine piroclastica [1] a causa della bassa resistenza agli agenti erosivi, sono stati nel tempo profondamente incisi dal vasto reticolo idrografico presente, dando vita a morfologie peculiari e caratteristiche del paesaggio viterbese: le forre (dal longob. furha «spazio fra i solchi»).
Si tratta di profonde incisioni dei substrati rocciosi i cui versanti si costituiscono di pareti sub-verticali con altezze fino a 60m. Queste formazioni sono dovute all’azione erosiva dei corsi d’acqua nel corso del tempo.
La particolarità dell’ambiente di forra si sostanzia nell’inversione termica con una conseguente inversione della serie vegetazionale classica: le specie adattate a maggiore umidità e minore temperatura si trovano alle quote più basse, mentre i boschi, che meno necessitano di umidità ed amano di più il sole, sono situati in alto.
I fattori abiotici[2], il litotipo[3] e le condizioni climatiche del luogo determinano il carattere mesofilo[4] della vegetazione della forra viterbese congiuntamente alla bassa insolazione e alla presenza di un corso d’acqua, elementi quest’ultimi di rilevante importanza per la determinazione dell’habitat della forra stessa.
Nella parte più alta della forra prevale una vegetazione a carattere mediterrano dovuto all’elevato grado di insolazione. Tra le specie prevalenti troviamo il Leccio (Quercus ilex) accompagnato da altre specie termofile e xerofile quali l’orniello (Fraxinus ornus), il corbezzolo (Arbutus unedo), l’acero minore (Acer monspessolanum), la fillirea (Phillyrea latifolia), l’alaterno (Rhamnus alaternus) e la ginestra (Spartium junceum).
Queste specie sono spesso in contatto con lembi di macchia a erica (Erica arborea), citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus), ginestrella (Osyris alba), asparago (Asparago acutifolius), pungitopo (Ruscus aculeatus) nonché arbusteti a cisto rosso (Cistus incanus) e cisto femmina (Cistus salvifolius).
Grazie alle caratteristiche microclimatiche all’interno della forra è presente un bosco misto con specie come la roverella (Quercus pubescens), con elementi più mesofili quali l’acero d’Ungheria (Acer obtusatum), il carpino bianco (Carpinus betulus), il cerro (Quercus cerris) e il castagno (Castanea sativa). Tra gli arbusti troviamo la bocca di lupo (Melittis mellissophyllum).
Sui pendii di raccordo tra le pareti della forra e l’alveo fluviale, vista l’elevata umidità e la scarsa insolazione, è presente un bosco misto con caratteri di mesofilia ancora più spiccati del precendente e che, a volte, può dar vita alle cosiddette “faggete depresse”. Tra le specie arboree troviamo il carpino bianco (Carpinus betulus), il faggio (Fagus sylvatica), il nocciolo (Corylus avellana) e il cerro (Quercus cerris).
Fra le specie arbustive prevalgono la sanguinella (Cornus sanguinea), il biancospino (Crataegus oxyacantha), la melica (Melica uniflora), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), la lingua di cane (Phillitis scolopendrium), la polmonaria (Pulmonaria vallarsae), la berretta da prete (Euonymus europaeus) e, tra le felci, Polystichum setiferum e Phyllitis scolopendrium.
In prossimità del corso d’acqua è presente una stretta e discontinua fascia di vegetazione ripariale costituita principalmente dall’ontano nero (Alnus glutinosa) accompagnato dal pioppo nero (Populus nigra), salice bianco (Salix alba) e olmo minore (Ulmus minor). Queste specie sono spesso associate alla felce (Dryopteris filix-mas) e al carice (Carex pendula).
A causa delle ridotte dimensioni dell’alveo talvolta non è presente una vera e propria fascia ripariale pertanto nel bosco misto mesofilo rientrano anche specie come l’olmo (Ulmus minor) e il sambuco (Sambucus nigra).
Essendo ambienti di difficile accesso, le cenosi forestali all’interno della forra presentano un grado di naturalità molto elevato.
Le forre costituiscono uno tra gli ambienti più peculiari e a elevata valenza ambientale degli ecosistemi fluviali e uno dei mosaici paesaggistici più caratterizzanti del territorio italiano.
[1] Le rocce piroclastiche (dal greco pirós, fuoco) sono rocce sedimentarie, detritiche la cui genesi è stata determinata dalla sedimentazione di materiali solidi proiettati in aria dai vulcani (detti piroclasti) durante violente esplosioni). Come le altre rocce sedimentarie, anche le piroclastiche si presentano in vari strati sovrapposti. I materiali solidi eiettati dai vulcani si distinguono, a seconda delle loro dimensioni via via decrescenti, in blocchi, lapilli, sabbie e ceneri vulcaniche; quelli più grossolani si distribuiscono a minore distanza dal cratere, mentre quelli più fini possono essere trasportati, con il favore del vento, anche a centinaia di chilometri. Un esempio di roccia piroclastica è il tufo, composto principalmente da ceneri e lapilli.
[2] I fattori abiotici (dal greco bios, cioè vita, con il prefisso -a, senza) sono i componenti di un ecosistema che non hanno vita quali la luce, la terra, le rocce, l’acqua, il clima, la temperatura, la pressione ecc..
[3] Il litotipo è l’insieme dei caratteri litologici essenziali per la definizione e la descrizione di una roccia o di un’unità litostratigrafica. Tra i caratteri troviamo il numero di minerali che compongono la roccia e/o altri elementi che lo caratterizzano, presenti in determinate proporzioni, la tessitura e/o struttura, le dimensioni degli elementi costituenti (la cosiddetta grana della roccia). Il litotipo può definirsi l’unità elementare di un corpo roccioso.
[4] Meṡòfilo [comp. di meso- e -filo]. In ecologia, detto di piante e fitocenosi che prediligono latitudini temperate e ambienti umidi (ambienti intermedi tra gli ambienti xerofili e quelli igrofili).
Bibliografia:
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Bigi G., Cosentino D., Parotto M. (1988), Modello Litostratigrafico-strutturale della Regione Lazio, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma – Regione Lazio, Assessorato alla Programmazione, Roma.
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Boni, P. Bono, C. Capelli (1988), Carta idrogeologica del territorio della Regione Lazio, Università degli studi “La Sapienza”, Roma – Regione Lazio, Assessorato alla Programmazione, Roma.
Olmi M., Zapparoli M. (a cura di, 1992), L’ambiente nella Tuscia laziale – Aree protette e di interesse naturalistico della Provincia di Viterbo. Università della Tuscia, Union Printing, Viterbo.
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